Presidente dal 1972 al 1975

Mario Romani

ROMANI_2

Mario Romani (Milano, 12 settembre 1917 – Milano 26 marzo 1975) si avviò alla carriera accademica e ne percorse tutte le tappe nell’Università Cattolica del S. Cuore di Milano: laureato nel 1941 alla facoltà di economia e commercio, assistente alla cattedra di storia economica dal 1946 (al rientro dagli Stati Uniti, ove era stato internato quale prigioniero di guerra in Africa settentrionale), incaricato dell’insegnamento della stessa disciplina dal 1948, libero docente dal 1951, straordinario dal 1959 e poi ordinario dal 1961. Alla vita e alle vicende dell’Ateneo cattolico Romani fu legato come docente, ma vi assunse anche impegni e responsabilità di governo: fu Preside della facoltà di economia e commercio dal 1959 al 1967 e poi pro-Rettore dal 1969.

Rilevanti anche gli impegni in campo civile, che furono altrettante tappe di una esistenza vissuta con molta intensità: fu consigliere nazionale della DC, dal 1949 al 1959, consigliere del CNR e presidente di uno dei comitati, quello per le Scienze economiche e statistiche, membro infine del CNEL dalla fondazione. Riconoscimenti ai suoi meriti in campo culturale gli vennero nel 1960 dall’Ateneo di Scienze, Lettere ed Arti di Bergamo, che lo volle Socio corrispondente, e dal Comune di Milano, che lo premiò nel 1976 con medaglia d’oro per meriti nel campo della scuola. Non è facile definire la sua figura e la sua opera: Romani fu sostanzialmente un uomo di cultura ed uno studioso che, per vocazione di cattolico, pose al servizio della riflessione teorica e dell’azione in campo sociale dei cattolici le sue idee, la sua grande capacità di analisi e di valutazione, la sua cultura economica e storica.

Come per molti della sua generazione, cresciuti in regime fascista, furono le organizzazioni cattoliche di apostolato a formarlo sul piano morale e ad orientarlo all’interesse per i problemi sociali. Lo studio e la ricerca scientifica erano alla base dei suoi orientamenti culturali, ma non fu mai un intellettuale, cioè un pensatore a tavolino, e tanto meno un intellettuale organico: se non altro per la posizione di relativo isolamento in cui venne a trovarsi in campo culturale e politico a causa della modernità delle sue idee e del suo orgoglio di «laico». Pur essendo guidato da una tensione etico-religiosa molto accentuata che lo portava a giudizi netti su vicende e su persone, rivendicò sempre una piena indipendenza sul piano delle idee come dei comportamenti. Pagò infatti – anche in termini di successo personale, ma soprattutto con l’incomprensione – lo scarto tra una visione personale della vita civile ispirata a modelli avanzati, anche se con molto realismo calati nella storia del paese che ben conosceva, e la obiettiva arretratezza culturale e politica dell’ambiente in cui visse ed operò. Lo isolano da una certa prevalente tradizione intellettualistica della cultura cattolica italiana della sua generazione il modo con il quale impostò e realizzò il suo impegno sociale: comprensione e partecipazione ai problemi degli operatori sociali, ma nessuna confusione tra le ragioni della riflessione e le esigenza dell’azione pratica; grande rispetto delle responsabilità «politiche», ma piena autonomia di giudizio sul modo con cui queste erano vissute; svolgimento di un preciso compito culturale, ma anche assunzione esplicita di impegni ufficiali (come direttore del Centro Studi e dell’Ufficio studi, nei confronti della CISL, dal 1950 al 1969; come direttore dell’Istituto di studi superiori A. De Gasperi negli ultimi mesi della sua vita, nei confronti della DC, per citare due esperienze significative, accettate in tempi diversi, ma con lo stesso spirito).

Il primo ambito in cui si è concretato l’impegno di Romani nel MC italiano del secondo dopoguerra è stato il contributo, per taluni versi determinante, alla esperienza che venne compiuta dai cattolici in campo sindacale, con la costituzione, avvenuta nel 1950, della CISL. Alla decisione presa da coloro che erano stati direttamente coinvolti nel fallimento dell’unità sindacale, cioè dai sindacalisti cristiani, di dar vita ad un sindacalismo «laico» (e quindi con un suo fondamento originario di dottrina e di prassi), Romani diede quel supporto di natura culturale senza il quale il tentativo ben difficilmente avrebbe potuto reggersi. La situazione in quella fase storica era molto confusa: infatti l’intermezzo unitario dal ’44 al ’48 aveva offuscato, sia pure con i suoi vantaggi politici, quali la governabilità del paese ed il riconoscimento di un sindacalismo cattolico, l’originalità di quest’ultimo. Si trattava – questo era il compito difficilissimo – di mettere alla base della svolta del ’50 alcune consapevolezze tratte dall’esperienza del sindacalismo nei paesi industriali adattandole alla realtà del paese: in pratica, che l’unionismo esclusivamente rivendicativo era finito con la crisi del ’29 e che il nuovo unionismo doveva avere una dimensione «politica» esplicita. Di conseguenza andava creato anche in Italia un sindacalismo a base associativa (in cui contano i soci e non la classe indistinta), fortemente contrattualista (che vuol negoziare con la controparte tutti i problemi del lavoro), autenticamente autonomo (non subordinato ai partiti, né inserito tra le istituzioni pubbliche), capace di produrre una sua classe dirigente. Dal 1950 (e sino al 1969), la storia della CISL, dei suoi orientamenti dottrinali e dei suoi comportamenti pratici ha come riferimento le analisi, le idee e le proposte di Romani, sempre esposte, dibattute e legittimate all’interno dell’organizzazione attraverso una costante azione formativa a tutti i livelli di responsabilità.

Alla storia della CISL, in questo periodo bisogna quindi rimandare per una organica ed analitica valutazione di quanto Romani ha dato per il formarsi di una nuova cultura sindacale in Italia. Qui è solo necessario avere presente che il sistema di pensiero di Romani su questi problemi centrali della storia italiana contemporanea non trovò rispondenza adeguata all’interno del mondo cattolico e della sua cultura, piuttosto superficialmente attenti a tali problemi. Rispetto alla matrice dottrinale e pratica di provenienza (cioè l’esperienza che i cattolici avevano fatto in campo sindacale alla fine dell’Ottocento sino all’avvento del fascismo), il passo in avanti che Romani cercò di far compiere non era breve: infatti la dottrina sociale cattolica non aveva compiuto – in Italia – notevoli progressi dalle formulazioni solidaristiche dei primi del Novecento, che erano sì passate attraverso la considerazione critica del corporativismo, ma erano anche rimaste estranee alle grandi questioni suscitate dall’industrializzazione.

Quanto alla pratica di organizzazione e tutela dei lavoratori, questa era stata discontinua, fortemente contrastata anche se non priva di originalità, sia sul piano organizzativo come su quello contrattuale. Di conseguenza, la concezione di Romani prendeva le distanze non solo da un certo operaismo cattolico, attardato sulla denuncia dei mali dell’industrialismo, ma soprattutto da una visione teorica che faceva della categoria professionale il momento di aggregazione degli interessi dei lavoratori e della rivendicazione diretta al miglioramento del rapporto di lavoro la sostanza dell’azione sindacale. Ma soprattutto, per Romani, andava superato lo spirito legalistico con cui si continuava a coltivare l’obiettivo dell’inserimento del sindacato nella struttura dello Stato. Romani aveva, all’opposto, una visione dinamica del pluralismo sociale che lo portò a considerare negativa per lo sviluppo del sindacato e della società italiana l’attuazione del dettato degli articoli 39 e 40 della Costituzione: l’intransigenza della CISL su questo punto ebbe in lui il sostegno più coerente sul piano dottrinale. Questo suo distacco – che postulava una valutazione positiva anche se critica della trasformazione industriale e che diede luogo anche a contrapposizioni polemiche – non fu compresa. Infatti nelle sue varie espressioni (politiche, economiche, culturali, educative) il MC restò sostanzialmente estraneo al grande sforzo che Romani sosteneva – praticamente con le sue forze – per dar vita ad una concezione ed una pratica del sindacato che fosse nel contempo moderna ed ispirata ai valori del pluralismo, della democrazia, della partecipazione propri della tradizione cattolica in campo sociale.

Infatti le sue idee sulla contrattazione collettiva dei salari e delle condizioni di lavoro articolata sul piano aziendale e nazionale, tra loro collegati, sulla modificazione del meccanismo di accumulazione capitalistica (mediante la creazione di fondi di investimento alimentati dal risparmio contrattuale), sulla creazione di istituti di conciliazione e di arbitrato (per governare in modo costruttivo la conflittualità), sulla formazione culturale dei lavoratori (per consentire forme responsabili di partecipazione e di democrazia industriale), si ponevano in pieno nella linea del riformismo cattolico.

Ostacoli interni al mondo cattolico – accanto a quelli determinati da una ancor troppo debole costituzione del sindacato a reggere alle trasformazioni sociali che alla fine del decennio ’60 travagliarono il paese e a quelli suscitati da ragioni di ottusa difesa di interessi particolari e di rifiuto del sindacato (e fu l’atteggiamento del mondo imprenditoriale) e da deformazione ideologica (e fu l’atteggiamento delle forze sociali e politiche di sinistra) – metteranno fine al rapporto diretto tra Romani e la CISL. Non verrà meno però l’influenza delle sue idee, soprattutto tra le minoranze che, negli anni di maggior difficoltà e confusione, restarono vicine agli ideali del sindacalismo nato nel decennio ’50.

Il secondo apporto di Romani alla evoluzione del MC resta il tentativo da lui fatto di modernizzare l’orientamento dottrinale dei cattolici italiani sui problemi del lavoro. in questa prospettiva si colloca un filone della sua opera di studioso che si inizia prima – e quasi in preparazione – del rapporto con il movimento sindacale. Mentre si indirizzava alla carriera universitaria, tra il ’46 e il ’50, Romani si fece una solida competenza su quei problemi, nutrendola di una conoscenza e documentazione – che aggiornò continuamente – su quanto avveniva nell’ambiente europeo ed, in particolare, in quello nord-americano. Sono di quegli anni la costituzione dell’Ufficio studi dell’ICAS trasformatosi, nel 1950, nell’Istituto sociale ambrosiano e la direzione della rivista «Realtà sociale d’oggi» (sino all’estinzione del periodico nel ’54), ove Romani raccolse intorno a sé un gruppo di studiosi ed elaborò molte delle idee che successivamente avrebbe sviluppato e proposto all’interno della CISL. Anche qui esercitò un suo magistero sotto il quale si formò, nell’ambito dell’Ufficio studi confederale e del Centro studi di Firenze, un nutrito gruppo di esperti dei problemi del lavoro, che in lui e nelle sue concezioni si sono poi riconosciuti come in una scuola. Questo contributo dottrinario continuò negli anni successivi, come testimoniano le relazioni alle Settimane sociali dei cattolici, ai convegni di studio delle ACLI, ai corsi di aggiornamento culturale dell’Università Cattolica ed in tutte le sedi in cui, sino alla scomparsa, gli venne richiesto di esprimere il suo pensiero sulle questioni del lavoro e del sindacato. In questa prospettiva di sviluppo e di sostegno degli studi va inquadrata l’ultima iniziativa in cui Romani si era impegnato con la costituzione della Fondazione G. Pastore, di cui fu presidente.

Il terzo apporto al MC italiano, Romani lo diede nel campo della politica universitaria, con specifico riferimento ai problemi dell’Ateneo cattolico.

Le trasformazioni sociali non meno che le novità portate dal Concilio all’interno della Chiesa e del mondo cattolico ne avevano messo in discussione il ruolo ed il significato, coinvolgendolo nella generale crisi dell’istituzione universitaria. Nel disorientamento che ne seguì, Romani individuò nella apertura alla educazione permanente, e nel servizio specifico alla società ed alla cattolicità, per una loro crescita ed un loro adeguamento, le vie per superare la situazione di difficoltà in quella si trovava. Il suo contributo in questa direzione non fu, come al solito, meramente teorico, ma anche operativo: mettendo a frutto le esperienze più progredite e più valide che arricchiscono da tempo l’azione dell’Università in altri contesti, animò la costituzione di una rete di «centri di cultura» che, realizzando un complesso di iniziative finalizzate all’aggiornamento ed alla preparazione professionale, rappresentano oggi un punto di forza della ripresa di iniziative culturali e quindi di significato della Università Cattolica in Italia.

Operando in questa direzione, Romani proseguiva d’altra parte quello che era sempre stato un suo obiettivo ideale, premessa indispensabile all’accoglimento consapevole tanto delle sue idee quanto una visione più moderna dei rapporti sociali: un più elevato livello di conoscenze di tutti e dei lavoratori in particolare.

In questa prospettiva possono essere collocate una serie di iniziative da lui promosse o sostenute: i corsi di formazione sociale per il clero; la scuola di Firenze per i dirigenti sindacali; l’attività formativa continua all’interno dell’associazione sindacale, la costituzione dell’Istituto per la cultura dei lavoratori (ISCLA) e la sua attività (esplicatasi nel breve periodo in cui operò sotto la presidenza sua dal 1968 al 1970, nell’affrontare i temi della diffusione della cultura economica e degli strumenti per realizzarla con la pubblicazione di una collana di testi divulgativi); la promozione o la direzione di riviste specializzate sui temi del lavoro, come «Sindacalismo» (la prima serie, dal 1951 al 1952 e la seconda serie dal 1964 al 1967) o «Nuovo osservatore» (dal 1958 al 1959).

L’ultimo – e coerente contributo – al MC italiano, Romani lo diede creando l’Archivio per la storia del movimento sociale cattolico in Italia. L’iniziativa, che si rivelerà feconda di risultati, come prova la diffusione e l’accreditamento nella storiografia specializzata del periodico «Bollettino»edito dal 1966, aveva lo scopo di dar vita ad una struttura specificatamente attrezzata ed indirizzata all’individuazione ed alla valorizzazione della documentazione archivistica sulle esperienze dei cattolici italiani in campo economico e sociale. Sorto nel 1962, cioè in un momento di ripensamento della storiografia sulla presenza cattolica in campo civile e politico, l’Archivio era frutto di due intuizioni di cui lo storico Romani diete prova: che gli studi sul MC andavano rinnovati ed arricchiti con una più accurata indagine sulle radici del fenomeno (sulla sua capacità di dare risposta valida ai bisogni materiali dei ceti popolari con l’assistenza, il mutualismo, la cooperazione, l’istruzione agraria, l’azione sindacale) e che bisognava realizzare un impiego generalizzato, capillare ed approfondito, anche con l’aiuto della storia economica e sociale (dei suoi modelli interpretativi come delle sue tecniche) del vastissimo, ma disperso materiale documentario ancora esistente e praticamente sconosciuto alle grandi interpretazioni di sintesi che la storiografia sul MC aveva sino a quel momento prodotto.

Non si potrebbe però comprendere appieno la validità e la forza delle idee di Romani, nel campo della politica del lavoro e dell’azione sindacale, se non si tiene presente che tali idee poggiavano saldamente sulle convinzioni che lo storico dei fatti economici e sociali si era costruito attraverso la ricerca scientifica, che no trascurò mai in parallelo con l’impegno in campo sociale. Studiando a fondo le vicende dell’agricoltura lombarda tra Settecento ed Ottocento – di cui è rimasto il maggior conoscitore – ebbe modo di coglierne la complessità è la peculiarità del processo di modernizzazione economica. Estendendo poi all’ambito nazionale le sue indagini, colse tutti i limiti e le contraddizioni della nostra storia economica recente sintetizzandoli nella «mancanza di una autentica volontà di sviluppo industriale», che sarebbe stata alla base dei comportamenti privati e pubblici soprattutto nella fase in cui, dopo la seconda guerra mondiale, in Italia si manifestò un processo di industrializzazione. In tale prospettiva, si chiarivano per lo studioso le vere ragioni dei ritardi e delle distorsioni da cui siamo ancora condizionati e che tanti riflessi hanno sull’azione sindacale. E si consolidano i convincimenti che la trasformazione economica e sociale andava (e va) guidata e gestita con grande prudenza e con la consapevolezza che i punti deboli coinvolgevano tutti i soggetti della vita civile (e non solo alcuni) e tutti gli aspetti del sistema: dalla accumulazione troppo scarsa alla inadeguatezza della cultura ed alla debolezza delle strutture politiche e civili. Erano queste le basi conoscitive di un realismo senza illusioni che fece Romani uno degli studiosi più attenti e più attendibili della nostra recente vicenda economica, sociale e politica.

* Sergio Zaninelli, Mario Romani, in Dizionario storico del movimento cattolico in Italia 1860-1980. II, I Protagonisti, Casale Monferrato, Marietti, 1982, p. 552-556.

Fonti e Bibliografia

Presso «l’Archivio per la storia del movimento sociale cattolico in Italia» dell’Università del S. Cuore di Milano è raccolta la corrispondenza personale, nonché appunti e memorie predisposti sulle questioni di politica universitaria, di politica del lavoro e di sindacalismo. I lavori di storia economica più significativi : L’agricoltura in Lombardia dal periodo delle riforme al 1859. Struttura, organizzazione sociale e tecnica, Vita e Pensiero, Milano 1957, II – 287; Un secolo di vita agricola in Lombardia (1861-1961), Giuffrè, Milano 1970, XI 849; II: parte seconda, Giuffrè, Milano 1976, XI 1200. La sua produzione sui temi del lavoro e del sindacato consiste in testi di relazioni tenute a convegni di studio; i più importanti sono ora raccolti in volume (Mario Romani, Saggi sul movimento sindacale, Giuffrè, Milano 1976). Gli scritti sull’educazione permanente e l’Università: Dall’Università la promozione culturale, AA.VV., Prospettive di lavoro per l’Università di domani, Vita e Pensiero, Milano 1973, 151-176; Per un programma d’azione. Atti dal primo convegno nazionale di studio sul tema «La diffusione della cultura economica: realtà, esigenze, prospettive» (Roma, 14 marzo 1968), «Lettera dell’I.S.C.La», 1968, 1-2, 16-23; Discorso conclusivo. Atti del terzo convegno nazionale di studio sul tema «L’educazione permanente e la programmazione regionale dello sviluppo» (Trieste, 15-16 maggio 1970), «Lettera dell’I.S.C.La», 1970, 3-4, 39-45. gli scitti sul movimento cattolico: La situazione economica d’Italia prima dell’unità e le premesse dell’azione sociale dei cattolici, in AA.VV., L’unità d’Italia e i cattolici italiani, Vita e Pensiero, Milano 1960, 141-150; la preparazione della «Rerum novarum», VP, 1961, 156-173.

Sulla figura e sulla attività di Romani cfr.: S. ZANINELLI, Commemorazione di Mario Romani, in Annuario dell’Università Cattolica del S. Cuore, anni accademici 1974-1975 e 1975-1976, Vita e Pensiero, Milano 1977; ID., Alle origini della cultura della CISL: la rivista di Mario Romani «Realtà sociale d’oggi» (1974-1954), in AA.VV., Analisi della CISL, Edizioni del Lavoro, Roma 1980, I, 159-199.